
Julianne Moore e' diventata un'icona delle donne al limite, infelici, eroine di storie estreme. Professionalmente ha corso qualche serio rischio, come quando ha interpretato nel sequel de "Il silenzio degli innocenti" il ruolo che era stato di Jodie Foster. In "Savage Grace", purtroppo (perche' di un'attrice di gran classe stiamo parlando), di rischi ne corre molti sfiorando il ridicolo.Ricavato da un romanzo ispirato ad un fatto di cronaca nera realmente accaduto, il film racconta di un caso di matricidio. Una coppia estremamente ricca (lui e' l'erede dell'inventore della bachelite, lei una ex attricetta molto ambiziosa) non sanno fare di meglio per ammazzare il tempo che tradirsi, ritrovarsi in camere d'albergo per rapporti sessuali altamente ginnici, viaggiare, ricevere ospiti. Li seguiamo, in questa vita che vorrebbe essere decadente e disperata ma che risulta soltanto di maniera, per una trentina d'anni, dal 1946 al 1972. Hanno un figlio, omosessuale; e' lui a narrare la storia, prima come vittima e poi come carnefice;
Anthony e' succube di una madre inadeguata, che vorrebbe essere accolta nell'alta societa' a cui appartiene il marito ma ne e' respinta, e questo la spinge verso atteggiamenti sempre piu' trasgressivi fino ad arrivare ad infilarsi nel letto del figlio, per sedurlo con lo scopo di curarlo dalla omosessualita', in una scena particolarmente goffa.
Il finale tragico ci toglie d'impiccio. Il regista e' Tom Kalin, gay militante, membro di spicco del "New Queer Cinema", autore di video esposti al Museum of Modern Art di New York.


Savage Grace. Tom Kalin. U.S.A.
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